A volte basta la parola, come recitava una vecchia pubblicità. Alcuni mesi fa, autorevoli membri del Governo proclamavano con enfasi di aver approvato un provvedimento con il quale veniva “abolita la povertà”. Un tono secco e perentorio, come si addice a un precetto normativo; non si dice: “Abbiamo approvato misure che nel lungo periodo potrebbero contribuire a migliorare la condizione di alcune fasce d'indigenti”. Assolutamente no. Questo è linguaggio da prima repubblica, mentre il rinnovamento esige un linguaggio netto, preciso, inderogabile, così come nette, precise e indiscutibili sono le soluzioni assunte. L’impressione contraria che alcuni di noi potrebbero avere, ossia che le sacche di disagio sociale, d'indigenza, siano addirittura aumentate, che i mendicanti, i disperati che frugano nei cassonetti siano ad ogni angolo di strada, è dunque senz’altro errata. Perché la legge d'iniziativa governativa ha abolito - “per sempre”, secondo l’autorevole annuncio da un balcone governativo - la povertà. Punto e basta. E allora noi ci associamo, ci crediamo. La povertà non più esiste in Italia. Non vorremmo rischiare un’ incriminazione per il reato di disfattismo.
Tuttavia, non essere più poveri non significa necessariamente essere felici. Il danaro, si sa non sempre porta felicità. Anzi i ricchi sono spesso infelici, tristi e depressi. E allora, aboliamo anche la tristezza e la depressione che sembrerebbero affliggere larga fascia degli italiani, poveri, ex poveri e ricchi.
D’altronde gli indici di benessere psico-fisico, di progresso economico alternativi, la stessa felicità interna lorda o FIL (in inglese gross national happiness - GNH) sono ormai riconosciuti dai più importanti economisti mondiali come essenziali elementi d'integrazione del prodotto interno lordo, proprio perché, come dimostrato dai premi Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz e Amartya Sen e l'economista francese Jean-Paul Fitoussi, il prodotto interno lordo in termini puramente economici e monetari non è sufficiente a certificare l’effettiva ricchezza di un paese.
A questo punto, visto che basta una semplice legge, o meglio l’annuncio di una legge, perché non approfittare del momento favorevole e introdurre per legge la felicità per tutti? Questo contribuirebbe ad aumentare il nostro prestigio internazionale e riequilibrare i conti. Non vogliamo un semplice riconoscimento del diritto alla felicità come nella Costituzione americana, solo enfatico e programmatico. No, proprio la felicità vera e propria, quella piena e vissuta ogni giorno dell’anno, per ognuno.
Cosa ci vorrà mai? Una legge, un balcone, un tweet, ed è fatta.